Scendete in piazza e fermate un passante. Dopo averlo salutato cortesemente, chiedetegli cosa pensa quando sente la parola Amazon. Se vi troverete a Roma, Napoli, Forlì o in qualsiasi altra città della Penisola, il malcapitato non potrà rispondervi in altro modo che sciorinando quelle due o tre cose che sa d’un’azienda americana, una simpatica multinazionale che porta prodotti a domicilio, offre film online e qualche canzone a chi non ama Spotify. Questa scena però potrebbe essere molto diversa ad esempio in una strada di Londra o Dublino. Il passante alla parola Amazon potrebbe tentennare, perché in inglese quel vocabolo può aprire dei veri e propri universi. Di sicuro qualcuno tornerebbe a citare l’azienda di cui sopra, qualcun altro potrebbe immaginare fanciulle smargiasse che fanno alla lotta con eroi greci, ma infine troverete anche chi vi dirà che quella parola gli ricorda una foresta brasiliana. Non può immaginare però quest’ultimo nostro passante che proprio la grande multinazionale di Bezos ha fatto costruire un innovativo e incredibile coworking, dove si può lavorare attorniati da una miriade di piante provenienti da tutto il mondo.
Un raffinato progetto biofilo
Stiamo parlando di The Spheres, un progetto realizzato dallo studio di architettura NBBJ. L’edificio è situato all’interno del campus di Amazon a Seattle, sulla 7th Avenue, tra due incredibili grattacieli sempre di proprietà della medesima azienda. L’idea iniziale era quella di costruire semplicemente un’area in cui i lavoratori potessero recarsi per lavorare e farlo in modo creativo, confrontandosi in un ambiente che fosse il più stimolante possibile. Lo studio NBBJ allora, particolarmente legato al tema della riscoperta della natura e mosso da una sincera volontà di spronare la crescita del biophlic design, propose di realizzare una piccola giungla multicolore. Gli architetti che hanno lavorato alla struttura volevano che i dipendenti e i visitatori potessero entrare in un mondo in miniatura, un luogo dove si potesse fuggire dal cupo cielo di Seattle per rientrare in contatto con la natura.
Quest’intuizione biofila però affonda le proprie radici in progetti che sono state realizzati anche secoli e secoli fa. Nella ricerca si è andati a studiare quali ambienti fossero riusciti a creare l’atmosfera perfetta per far sì che uomini e piante coabitassero e interagissero in modo costruttivo. Si è indagata allora la forma delle limonaie italiane del Cinquecento e poi si è passati alle ferrovitree strutture dell’Ottocento e del Novecento inglesi. Le linee, le geometrie e i dettagli sono stati preziosi riferimenti, ma c’era qualcosa che andava ancora definito al meglio. Tutte queste strutture infatti custodivano alberi e piante, ma in nessuna di esse era previsto che gli uomini vi passassero il loro tempo a leggere, a bere, a lavorare. Andavano ripensati gli spazi.
Il nido verde
La sfida era avvincente e non si lesinarono le idee sorprendenti. Prima di tutto si decise che doveva trattarsi di un’enorme serra, all’interno della quale dovevano crescere quasi trentamila specie diverse di piante. Si pensò a cinque piani, di cui uno visitabile e quattro riservati invece ai diversi coworkers. Percorsi, piccole oasi, enormi mura composte di piante di ogni tipo, migliaia di giardinieri impiegati nella realizzazione e nella cura di questo spettacolo vivaistico. Mancava però un dettaglio. Si doveva decidere che forma avrebbe avuto questa serra. C’erano dei parametri da rispettare per far sì che l’ingresso della luce solare fosse gestito al meglio e potesse così esser reso adeguato a questa flora così variegata. Alla fine a vederle queste serre, come dice anche il nome che è stato dato loro, sembrano sferiche, ma la faccenda è molto più complessa. La forma di base dell’intera struttura è l’esacontaedro pentagonale e a studiarla fu un matematico belga di metà Ottocento, tale Charles Catalan. Fu proprio la scelta di questa geometria così inusitata a permettere il bilanciamento luminoso richiesto e si potè quindi procedere alla realizzazione della struttura.
In questo piccolo gioiello d’acciaio e vetro ad oggi lavorano centinaia di persone, pronte a condividere e spronate a dare il meglio nel lavoro, ma soprattutto finalmente riconciliate con la natura nell’abbraccio di un tondo nido verde.