Partiamo da alcune righe di Collodi: ” Per tua regola, – disse il Grillo-parlante con la sua solita calma, – tutti quelli che fanno codesto mestiere finiscono quasi sempre allo spedale o in prigione.”

Il Grillo sta discutendo con Pinocchio che ha appena detto di avere un unico mestiere che gli vada a genio: “Quello di mangiare, bere, dormire, divertirmi e fare dalla mattina alla sera la vita del vagabondo.”

Iniziamo da qui per notare come il Grillo-parlante – che nel testo di Collodi incarna il discorso saggio, il discorso della società adulta – associ, in modo assolutamente paritario, l’ospedale alla prigione come luoghi in cui finiscono gli elementi “sbagliati” della società, coloro che fanno una vita diversa. E qui sta il punto: il malato è considerato un diverso e, come tutti gli altri diversi, deve stare in un posto che non sia lo stesso di chi diverso non è. L’ospedale è questo posto, è il luogo in cui è tracciata la linea tra chi è sano e chi non lo è.

Su un ospedale pensato così, come luogo della malattia, si può intervenire. Di seguito vediamo l’esempio del Khoo Teck Puat Hospital di Singapore che ha cercato nella progettazione biofila il grimaldello per immaginare un ospedale che possa essere, prima di tutto, un luogo di guarigione.

© Khoo Teck Puat Hospital

La struttura

Il Khoo Teck Puat Hospital di Singapore, progettato da CPG Consultants in collaborazione con RMJM, è stato inaugurato nel marzo del 2010. La struttura è composta da edifici a “V” studiati per convogliare e sfruttare al meglio la circolazione della brezza tra i vari padiglioni e ridurre, in questo modo, la ventilazione meccanica fino al 60%. Nelle mura si aprono ampie vetrate che garantiscono illuminazione naturale alle stanze.

La vegetazione è presente ad ogni piano dell’edificio e soprattutto nella corte verde, simile ad una foresta, che si apre all’interno della struttura. Con un microclima interno più fresco, in modo stabile, di circa 2 °C rispetto alle aree appena fuori l’ospedale, la corte serve anche come “riserva d’aria fresca” per alleggerire il lavoro del sistema d’aria condizionata. La vegetazione, che si sviluppa in verticale, è tanto diffusa che il rapporto tra la superficie occupata dalle piante e la superficie orizzontale dell’area è 3.92. Questo significa che nell’ospedale c’è quasi quattro volte la superficie verde che ci sarebbe stata se quell’area fosse stata sfruttata come un giardino.

Accanto all’ospedale si trova un parco che è stato messo a servizio anche delle zone residenziali vicine. Questo parco aumenta del 400% dell’area verde a disposizione dei pazienti e favorisce l’integrazione tra mondo ospedaliero e mondo “esterno”, nella condivisone di uno spazio comune.

© Khoo Teck Puat Hospital

Un ospedale senza fossati

Il parco accanto all’ospedale non è il solo spazio della struttura in cui ci sia contatto tra il mondo sano e i malati: gli orti sul tetto, che riforniscono le mense, sono gestiti da volontari esterni assieme ai pazienti, l’edificio contiene diverse sale conferenze e le biblioteche e gli spazi comuni sono spesso occupati da studenti. I visitatori dicono di frequentare l’ospedale principalmente perché è uno spazio verde, rilassante, bello.

Tutto questo abbatte le muraglie dell’esilio del malato e dimostra, ai malati per primi, la possibilità di superare la propria condizione di alterità attraverso la comunità. L’ospedale, in questo senso, è società e la socialità che lo attraversa crea un ambiente inclusivo che mantiene continuità tra l’interno e l’esterno. Un spazio di questo tipo non può che partire dalla progettazione di una struttura che consideri la propria bellezza e la propria vivibilità come i principali mezzi per ri-definire il concetto d’ospedale, rendendo il luogo della malattia un luogo della guarigione.

L’ultima informazione sul KTPH che ci aiuta a capire meglio quanto sia strettamente connesso il tema della guarigione con quello dell’inclusività è che stiamo parlando di un ospedale pubblico. È in questa dimensione collettiva del prendersi cura di chi ha più bisogno che l’ospedale può non essere più il luogo in cui finire ma essere il luogo in cui incontrarsi.